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Aggiunto da il 2013-05-29

ILVA TARANTO: CRONOLOGIA DEL DISASTRO

EPILOGO: I RIVA AGLI ARRESTI DOMICILIARI – Truffa allo Stato per trasferimento fittizio di beni. Per reati fiscali e di riciclaggio.

LE ULTIME INDAGINI – 28 Maggio 2013 I pm di Milano hanno iscritto nel registro degli indagati per truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di beni i proprietari dell’Ilva, Emilio e Adriano Riva. Oltre ai Riva, altri due professionisti risultano indagati per riciclaggio. Sono due commercialisti milanesi, “F.P.” e “E.E.G.”, sono indagati per riciclaggio e anche loro hanno presentato ricorso al Tribunale del Riesame. Ora i giudici dovranno fissare un’udienza per discutere l’ istanza di dissequestro presentata dalle difese. L’inchiesta ha portato al sequestro di un miliardo e 200 milioni dei Riva bloccati nel paradiso fiscale di Jersey per il vantaggioso status esentasse dell’isola al largo di Saint Malo sulla Manica.
Provvedimento di sequestro preventivo a carico della famiglia Riva. Secondo quanto si apprende il provvedimento sarebbe relativo a reati fiscali e riciclaggio. Sono in corso una serie di perquisizioni. Il provvedimento è stato firmato dal Gip del tribunale di Milano ed è stato eseguito dagli uomini del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza del capoluogo lombardo e di Varese. Le accuse nei confronti della famiglia Riva sono di frode fiscale, riciclaggio, intestazione fittizia e truffa ai danni dello Stato. Gli immobili, i titoli e le disponibilità finanziarie per un valore totale di oltre un miliardo sequestrati alla famiglia Riva, sarebbero stati ottenuti sottraendo soldi all’Ilva. E’ quanto avrebbero accertato le indagini della Gdf che hanno portato all’emissione del decreto di perquisizione e sequestro.

GIP CONCEDE DOMICILIARI A PRESIDENTE PROVINCIA – Il gip del Tribunale di Taranto Patrizia Todisco ha concesso gli arresti domiciliari al presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido, arrestato il 15 Maggio 2013 scorso per concussione nell’ambito dell’inchiesta sull’Ilva ‘Ambiente svenduto’. Resta in carcere invece l’ex assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva. Florido si era dimesso da presidente della Provincia subito dopo l’arresto. Conserva, che risponde degli stessi reati contestati a Florido (tentata concussione per costrizione e concussione per induzione ai danni di due funzionari della Provincia), si era invece dimesso nel settembre dello scorso anno, due mesi prima di essere arrestato ai domiciliari per altri presunti episodi di concussione con l’aggravante di aver fatto parte di un’associazione per delinquere. L’indagine che ha portato agli arresti del 15 maggio scorso riguarda l’autorizzazione per l’utilizzo della discarica di rifiuti speciali pericolosi Mater Gratiae, all’interno dello stabilimento siderurgico e gestita dall’Ilva. Gli altri due arrestati nella stessa operazione sono l’ex dirigente dell’Ilva Girolamo Archinà, finito prima in carcere e ora ai domiciliari per motivi di salute, e l’ex direttore generale della Provincia di Taranto Vincenzo Specchia, che prima dell’arresto ai domiciliari era segretario generale del Comune di Lecce. Il Tribunale del Riesame esaminerà il ricorso presentato dai legali di Conserva (gli avvocati Michele Rossetti e Laura Palomba) contro l’ordinanza di custodia cautelare del 15 maggio. Analogo ricorso è stato presentato dai difensori di Archinà (i legali Gianluca Pierotti e Giandomenico Caiazza).

ILVA: EMILIO E ADRIANO RIVA INDAGATI A MILANO

ILVA: EMILIO E ADRIANO RIVA INDAGATI A MILANO

LA NOSTRA SALUTE NON E’ D’ACCIAIO: I VARI PROVVEDIMENTI DEI GIUDICI

Il 26 Luglio 2012 l’intera area a caldo dell’Ilva di Taranto veniva posta sotto sequestro preventivo con tutti i suoi sei impianti e senza facoltà d’uso; otto persone, tra dirigenti ed ex dirigenti del Gruppo Riva e dello stabilimento tarantino, agli arresti domiciliari.
TARANTO ED I PROVVEDIMENTI DEL GIP – Più di qualcuno dovrà chiedere scusa al gip Patrizia Todisco, sottoposta ad attacchi volgari e insensati. Anche il Tribunale del Riesame ha confermato che non vi è alcuna facoltà d’uso degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva posti sotto sequestro (tra l’altro non sarebbe stata neanche richiesta dai legali dell’azienda). Le interpretazioni errate avanzate da molti sono state quindi clamorosamente smentite.

Le motivazioni del Riesame: In base alle notizie fornite dalle agenzie di stampa il provvedimento sarebbe composto da circa 120 pagine. In base a quanto riferito da fonti giudiziarie, il Riesame ha disposto che non si continuino a perpetrare i reati contestati nel provvedimento cautelare senza specificare il percorso affidando ciò ai custodi incaricati dal gip. ”La facoltà d’uso riguarda la bonifica, ma non la produzione”, ha specificato una fonte all’agenzia Reuters.

Ma passiamo all’analisi dell’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame:

PARCHI MINERALI INQUINANTI – Si legge nel provvedimento: “In conclusione appare dimostrato che le attività svolte nell’area parchi generano emissioni nell’atmosfera non convogliate non adeguatamente quantificate dall’impresa contenenti sostanze inquinanti che si riversano principalmente nelle aree immediatamente adiacenti lo stabilimento investendo tra l’altro il popoloso quartiere Tamburi. L’Ilva non ha alcuna autorizzazione ad immettere all’esterno ingenti quantità di polveri dall’area parchi. Lo dimostra la precedente condanna confermata in Cassazione a carico di Riva Emilio e Capogrosso Luigi per il reato di cui all’art. 674 c.p. contestato per la medesima e pregressa condotta di versamento delle polveri. Lo conferma l’assenza nel decreto Aia (Autorizzazione integrata ambientale) e in precedenza nella determinazione n. 363 del 18 novembre 2003 di alcun limite delle emissioni provenienti dall’area di “discarica, stoccaggio e ripresa materie prime” contenendo i predetti provvedimenti prescrizioni tese e prevenire e limitare le emissioni a carattere diffuso delle polveri all’esterno. Dall’area parchi, in conclusione, sono state emesse polveri che non dovevano fuoriuscire o che comunque non dovevano superare il limite normale di tollerabilità ex art. 844 c.c.”.

Taranto quartiere Tamburi a ridosso delle ciminiere dell'Ilva

Taranto quartiere Tamburi a ridosso delle ciminiere dell’Ilva

Taranto quartiere tamburi: cimitero dell'ambiente

Taranto quartiere tamburi: cimitero dell’ambiente

CONDIZIONI LAVORATIVE DISASTROSE – “Le risultanze dell’indagine, in particolare gli accertamenti dei Carabinieri del Noe di Lecce, riguardanti le operazioni lavorative presso l’area cokerie, in particolare la fase dello sfornamento del coke presso l’area Acciaieria, segnatamente riguardo al fenomeno dello slooping (emissione di polveri rosse) e della contigua area GRF,
oltre che le lavorazioni riguardanti l’area agglomerato, in particolare la fase della raccolta e dello stoccaggio delle polveri degli elettrofiltri (fino al 2007 prelevate e messe su una carriola scoperta), dimostrano come nello stabilimento Ilva non fossero adottate le dovute ed esigibili cautele destinate a prevenire disastri e infortuni sul lavoro ( l’ultimo incidente nelle cokerie ancora il 28 Febbraio 2013 un operaio è morto e un altro è rimasto ferito), per tali dovendosi intendere tutte le misure preventive più adeguate e disponibili e non soltanto quelle generalmente praticate, ciò in ossequio del principio per cui in materia di sicurezza del lavoro non possono essere convalidati usi scorretti o pericolosi anche se generalmente praticati, e non solo, dimostrano le emergenze di indagine come l’omessa predisposizione di tali cautele ha determinato non soltanto oltre i confini dello stabilimento, nell’ambiente circostante (art. 434 c.p.) ma altresì nel contesto spaziale lavorativo, condizioni di massiccio inquinamento e di costante esposizione dei lavoratori ad agenti inquinanti di provata nocività per la salute umana. Le condizioni dell’ambiente di lavoro riscontrate dai funzionari dell’Arpa, dai carabinieri del Noe, nonché dai periti chimici, appaiono pur per dimensione ed entità degli inquinanti diffusi, tali da configurare la verificazione di un disastro (art. 437 c.p.)”

Lo smog di Taranto

Lo smog di Taranto

DOLO PERPETUATO – Si legge ancora: “I proprietari e i dirigenti dell’Ilva hanno continuato l’attività di produzione dello stabilimento di Taranto nonostante la stessa inequivocabilmente apparisse dannosa per la collettività omettendo di impiegare tutte le conoscenze possedute e doverosamente acquisibili attraverso l’ausilio di specialisti del settore. Di più, l’aver deciso di proseguire l’attività lavorativa con gli stessi impianti già ritenuti insufficienti a contenere le emissioni dannose senza esperire più adeguati ed efficaci interventi non può che considerarsi aspetto tale da far sussumere l’elemento soggettivo del reato in esame, oltre la colpa, del dolo“.

Sloping Ilva di Taranto 12 gennaio2012

Sloping Ilva di Taranto 12 gennaio2012

Inoltre, viene detto che “l’inquinamento ambientale dell’Ilva non presenta carattere d’occasionalità ma appare riconducibile a carenze organizzative e strutturali dell’impresa”. Si tratterebbe di “azioni ed omissioni aventi una elevata potenzialità distruttiva dell’ambiente”, “un disastro ambientale pericoloso per la pubblica incolumità determinato nel corso degli anni, sino ad oggi, attraverso una costante e reiterata attività inquinante posta in essere con coscienza e volontà per la deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti che si sono avvicendati alla guida dell’Ilva“.

Per il Riesame “gli organi di vertice della società che gestisce lo stabilimento hanno dato prova persistendo nelle condotte delittuose, nonostante la consapevolezza della gravissima offensività per la comunità cittadina delle condotte stesse e delle loro conseguenze penali e nonostante il susseguirsi, sin dagli anni immediatamente successivi all’acquisto del complesso siderurgico da parte del gruppo Riva di varie pronunce giudiziali che avevano già sollevato il grave problema ambientale creato dalle emissioni della stessa industria”. Secondo il Riesame, il disastro ambientale doloso prodotto dall’Ilva è ancora in atto e “potrà essere rimosso solo con imponenti e onerose misure d’intervento, la cui adozione, non più procrastinabile, porterà all’eliminazione del danno in atto e delle ulteriori conseguenze dannose del reato in tempi molto lunghi”.

RIPERCUSSIONI ECONOMICHE – Le voci sul contenuto dei provvedimenti adottati dal giudice si diffondono immediatamente e comincia la protesta, comunque pacifica, dei lavoratori metalmeccanici, che invadono a migliaia la città, bloccando il ponte girevole dopo un incontro infruttuoso in Prefettura.Il decreto di sequestro preventivo, notificato ad un legale del gruppo Riva, riguarda le aree di parchi minerali, cockerie, agglomerazione, altiforni, acciaierie e gestione materiali ferrosi. Sono circa cinquemila i lavoratori degli impianti sequestrati, su un totale di 11.500 circa dipendenti diretti dello stabilimento, ai quali vanno aggiunti circa 4.000 lavoratori dell’indotto. Il 26 Novembre 2012 a quattro mesi esatti dal sequestro degli impianti della più grande acciaieria europea, esplode la bomba Ilva: l’azienda, dopo l’ennesimo provvedimento giudiziario nei confronti dei vecchi e nuovi vertici e il sequestro di tutti i prodotti “finiti e semilavorati”, annuncia la chiusura “immediata e ineluttabile” dello stabilimento. Con la conseguenza che a partire da quella data 5mila operai rimarranno a casa: il badge per accedere in azienda è già stato disabilitato. E, a questo punto, pare anche difficile che il governo possa risolvere la questione in tempi brevi, nonostante la convocazione a Roma delle parti sociali e delle istituzioni locali. Ora bisognerà vedere come reagirà la città alla decisione dell’azienda che, di fatto, la mette in ginocchio: lo spettro è quello di un’apocalisse occupazionale che coinvolgerebbe, compreso l’indotto, non meno di 12 mila lavoratori.

IMPLICAZIONI POLITICHE – A far saltare il tappo, le due ordinanze di custodia cautelare e il decreto di sequestro preventivo – con contestuale iscrizione nel registro degli indagati dell’attuale presidente Bruno Ferrante e del direttore dello stabilimento Adolfo Buffo, per non aver rispettato quanto disposto dall’autorità giudiziaria – emessi dal Gip di Taranto che ha accolto buona parte delle richieste della procura. Complessivamente sono sette le persone destinatarie dei due provvedimenti: le accuse, diverse da indagato a indagato, vanno dall’associazione per delinquere, alla corruzione in atti giudiziari, alla concussione: in carcere vanno il vicepresidente del gruppo Riva Fire, Fabio Riva, che non è ancora stato rintracciato, l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso e l’ex responsabile dei rapporti istituzionali dell’Ilva, Girolamo Archinà, l’uomo che – secondo l’accusa – aveva intessuto una fitta rete di rapporti con politici, sindacalisti e funzionari degli enti locali, primo tra tutti il presidente della Regione Nichi Vendola. E proprio del governatore, sostiene il Gip, sarebbe la “regia” messa in piedi per “far fuori” il direttore dell’Arpa (Agenzia regionale di protezione ambientale) Puglia Giorgio Assennato, il funzionario sgradito all’Ilva per aver firmato una relazione sul rapporto tra livelli d’inquinamento e produzione dello stabilimento. “Mai fatto pressioni – replica Vendola – ho operato per la massima tutela dell’ambiente e con cautela per evitare quello che purtroppo stiamo per vedere nelle prossime ore”. Ai domiciliari vanno invece Emilio Riva e l’ex perito del tribunale di Taranto Lorenzo Liberti che avrebbe intascato una mazzetta da 10mila euro da Archinà per ammorbidire una perizia sulle fonti dell’inquinamento. Il 27 Novembre 2012 spuntano altri indagati, almeno cinque. Tra queste ci sono don Marco Gerardo, il segretario dell’ex arcivescovo di Taranto mons. Benigno Luigi Papa, e il sindaco di Taranto Ippazio Stefano. Il sacerdote è accusato di false dichiarazioni al pubblico ministero in relazione ad una presunta tangente di 10mila euro che l’ex responsabile dei rapporti istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà, arrestato ieri, avrebbe consegnato al consulente del Tribunale nonché ex preside del Politecnico di Taranto Lorenzo Liberti per addomesticare una perizia sulle fonti di inquinamento. Archinà aveva riferito agli inquirenti che quella somma, prelevata da cassa aziendale, non era destinata a Liberti ma si trattava di una elargizione alla curia tarantina. Il sindaco di Taranto è indagato per omissioni in atti d’ufficio in relazione alle prescrizioni a tutela dell’ambiente cittadino. La sua iscrizione nel registro degli indagati sarebbe un atto dovuto derivante da una denuncia di un consigliere comunale, Filippo Condemi.

LACRIME DI COCCODRILLO – “Il sequestro deciso dai magistrati di Taranto mette a rischio la continuità aziendale dell’Ilva.” – Lo segnala una nota emessa dopo il Cda di Riva Fire. In prima battuta “il provvedimento rischia di compromettere l’iter per l’approvazione del piano industriale 2013-2018 avviato da mesi, sia da Ilva che da Riva Fire”. Il consiglio di Riva Fire, riunito a Milano in sessione straordinaria lo scorso 24 Maggio 2013 per esaminare le conseguenze dei provvedimenti di sequestro effettuati dalla magistratura di Taranto, “ha espresso forte preoccupazione poiché il provvedimento rischia di compromettere l’iter per l’approvazione del piano industriale 2013-2018 avviato da mesi, sia da Ilva che da Riva Fire, e che, supportato da adeguati test di impairment di esperti indipendenti nonché da analisi di sostenibilità finanziaria effettuate da primari advisor, era ormai prossimo al termine” “Il perseguimento di tale iter avrebbe consentito sia il rispetto di tutti gli obblighi Aia (Autorizzazione integrata ambientale) sotto il profilo industriale e finanziario, sia l’approvazione del bilancio nei termini di legge in situazione di continuità aziendale”, aggiunge il comunicato della società della famiglia Riva spiegando che “l’interruzione di tale processo causata dal sequestro può invece portare a una situazione fuori controllo, anche con possibili ripercussioni occupazionali per circa 20.000 dipendenti diretti in Italia e almeno altrettanti nel cosiddetto indotto per un totale di 40.000 posti di lavoro”. Intanto la Corte di Cassazione ha confermato gli arresti domiciliari per Emilio e Nicola Riva, patron dell’Ilva, e per l’ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso. La prima sezione penale ha infatti respinto il ricorso presentato dalla difesa contro l’ordinanza del riesame del 23 ottobre scorso, che aveva detto no alla liberazione.

LE DIMISSIONI – Il Consiglio di amministrazione dell’Ilva si è dimesso. Lo rende noto la stessa azienda sottolineando che le dimissioni avranno effetto dalla data dell’assemblea dei soci, che il Consiglio ha convocato per il prossimo 5 Giugno 2013 alle 9.

Nella nota l’Ilva sottolinea che “l’ordinanza dell’autorità giudiziaria colpisce i beni di pertinenza di Riva Fire e, in via residuale, gli immobili di Ilva che non siano strettamente indispensabili al’esercizio dell’attività produttiva nello stabilimento di Taranto”. Per questo, afferma l’azienda, “il provvedimento ha effetti oggettivamente negativi per l’Ilva, i cui beni sono strettamente indispensabili all’attività industriale e per questo tutelati dalla legge 231 del 2012, dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale”. “Vista la gravità della situazione e incidendo il provvedimento anche sulla partecipazione di controllo di Ilva detenuta da Riva Fire – conclude la nota dell’azienda – i consiglieri Bruno Ferrante, Enrico Bondi e Giuseppe De Iure, hanno presentato le dimissioni dalle rispettive cariche”.

Il Consiglio di amministrazione dell’Ilva ha dato mandato ai propri legali di impugnare nelle sedi competenti il provvedimento di sequestro a carico dell’azienda e di Riva Fire Spa emesso dal Gip di Taranto. Lo rende noto l’Ilva nel comunicato con cui annuncia le dimissioni dell’intero Cda.

IL FENOMENO SLOPING – o delle polveri rosse: Peacelink Taranto ha chiesto un intervento al garante per l’applicazione dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) all’Ilva Vitaliano Esposito per verificare la natura e l’eventuale grado di inquinamento delle nubi di polveri rosse che si sono sprigionate la mattina alle 6.15 del 27 maggio 2013 dagli impianti del Siderurgico. Il fenomeno dello ‘sloping’ e’ stato fotografato da cittadini e operai dello stabilimento.

”Il garante Aia – sottolinea il presidente di Peacelink Taranto – ha gia’ risposto alla nostra segnalazione dello sloping arancione di stamattina rigirando la segnalazione a Ispra e Arpa”. ”In virtu’ dei compiti e delle funzioni svolte nel Suo ruolo – e’ scritto nella lettera di Peacelink – le chiediamo se quanto accaduto alle ore 06.15, in data odierna presso gli impianti dello stabilimento Ilva e’ in linea con le disposizioni di legge e con le prescrizioni Aia e li’ dove queste non rispettate se a seguito di quanto accaduto ci saranno iniziative di informazione e consultazione con le istituzioni locali al fine di assicurare la massima trasparenza per i cittadini”.

”Proprio in materia di trasparenza nei confronti dei cittadini tarantini e della provincia, e dei lavoratori dello stabilimento, – aggiunge – ci chiediamo quali sono stati i rischi intercorsi in tale episodio e quali sono state le incidenze in termine di salute sugli stessi e sull’ambiente”.

Ecco alcune delle fotografie scattate da quanti hanno assistito all’episodio:

Sloping Taranto Ilva 27 Maggio 2013

Sloping Taranto Ilva 27 Maggio 2013

Sloping Ilva Taranto 27 Maggio 2013

Sloping Ilva Taranto 27 Maggio 2013

INCONTRI ISTITUZIONALI – Sull’Ilva il presidente del Consiglio Enrico Letta, nell’incontro a pranzo del 28 Maggio 2013 con i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, “é apparso molto preoccupato. Ma non ha detto che cosa intende fare il governo”. E si è tentuto il vertice sull’Ilva al Ministero dello Sviluppo Economico. Oltre al titolare del Ministero di via Veneto, Flavio Zanonato, erano presenti il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, il sottosegretario allo Sviluppo, Claudio De Vincenti, il governatore della Puglia Nichi Vendola, e il sindaco di Taranto, Ippazio Stefano. Per l’azienda partecipano i vertici dimissionari: l’amministratore delegato, Enrico Bondi e il presidente Bruno Ferrante. Le parti sono state convocate da Zanonato dopo le dimissioni dei vertici dell’azienda, che hanno fatto seguito al maxi-sequestro di 8,1 miliardi di euro. Per il leader della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, è “necessario dare all’Ilva un diverso assetto proprietario che, escludendo la famiglia Riva, ridia fiducia a tutti quelli che hanno a che fare con l’Azienda e ridia forza al suo progetto industriale. A questo scopo è altresì necessario un intervento diretto dello Stato, a carattere straordinario, che, come peraltro previsto dalla legge 231 del 2012, ne muti assetto proprietario e struttura gestionale”. Landini insiste anche sulla necessità di definire una politica industriale che manca “da un tempo troppo lungo” per il settore siderurgico. Questo “sia per salvare l’impresa, con tutto ciò che questo significa, sia per garantire gli investimenti necessari al risanamento ambientale”, afferma Landini in una nota, spiegando che “non si tratta certo di rispolverare le vecchie Partecipazioni statali, ma di applicare le leggi già esistenti avendo di mira la salvaguardia non solo di una grande azienda, ma di un intero settore industriale”. “A noi – ha dichiarato il sindaco di Taranto Ippazio Stefano – interessano la salute, e in fretta, e il lavoro. Qualunque sia la strada”. Il sindaco si è anche rivolto direttamente alla famiglia Riva invitandola a “non tirare troppo la corda, perché questo peggiora le cose”. Al governo, invece, Stefano chiede di “essere garante” perché “in questo momento Taranto non può fare a meno dell’Ilva. Sull’Ilva “é importante che il governo dimostri di esserci” ha detto il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi. Lupi ha spiegato che “é assolutamente strategico questo settore non solo per i posti di lavoro, ma per quello che rappresenta nell’economia italiana”. A chi gli chiedeva di un possibile intervento pubblico sull’Ilva, il ministro ha replicato: “Non credo sia all’ordine del giorno”. “Da tre mesi – ribadisce il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi – continuiamo a dire che sull’Ilva si gioca una partita decisiva per il futuro del Paese”. Lo ribadisce il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, a margine della presentazione di ‘Made Expo 2013′. “Senza una soluzione sull’Ilva – prosegue – l’Italia è destinata ad uscire da novero dei Paesi industrializzati”. “L’Ilva è un caso emblematico, ci sono in ballo 40 mila posti di lavoro”. Sulla nazionalizzazione invece, “non mi posso esprimere”. Peccato che, per chi ha la memoria lunga, era già stata, quasi un ventennio fa, denazionalizzata o come si diceva all’epoca “privatizzata” dal governo Dini 1995, passando da azienda di Stato a carico e/o a favore della famiglia Riva. Lo stabilimento è il più grande d’Europa, era di proprietà pubblica, come pubblici furono i fondi che consentirono il risanamento della siderurgia italiana attraverso la messa in liquidazione di Italsider e Finsider. Poi nel 1995, grazie al governo Dini la febbre delle privatizzazioni spinse il governo a svendere l’impianto al Gruppo Riva, un investimento che si è ripagato nel giro di tre anni e che ha consentito a una società nata per commercializzare rottami di ferro di diventare il decimo produttore di acciaio al mondo con un fatturato di 8,53 miliardi di euro e circa 25.000 dipendenti all’epoca. Per Epifani, segretario del Pd, “La questione delle acciaierie in Italia, dall’Ast, all’Ilva, alla Lucchini, richiede da parte del Governo “una particolare attenzione”.
Per l’Ilva – sostiene il segretario confederale della Cisl, Luigi Sbarra – bisogna “trovare una soluzione che tenga insieme tutte le questioni aperte, con un obiettivo comune di tutte le parti chiamate in causa che è quello della continuità produttiva e dell’attuazione di quanto stabilito dall’Aia(Autorizzazione integrata ambientale). Non si possono mettere a rischio un intero settore strategico per l’Italia e il futuro di migliaia di lavoratori”. “La strada del risanamento dell’azienda, della sua continuità produttiva, del rispetto delle prescrizioni dell’Aia – insiste Sbarra in una nota – è l’unica in grado di assicurare un vero risanamento ambientale, di scongiurare un gravissimo problema sociale e di tenere insieme le ragioni dei cittadini e dei lavoratori. Chiediamo quindi un intervento forte al nuovo ministro dello Sviluppo economico e al presidente del Consiglio perché nelle riunioni programmate nei prossimi giorni si trovino delle soluzioni, anche straordinarie, per garantire il mantenimento in attività di tutti i siti produttivi dell’Ilva”.

INVESTIMENTI PER AIA – ”Puntiamo a fare in modo che tutti gli stabilimenti Ilva, non solo Taranto, continuino l’attivita’ produttiva e l’azienda continui gli investimenti necessari” per attuare le richieste dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale), che fissa vincoli stringenti in materia di salute e ambiente. Cosi’ il sottosegretario allo Sviluppo, Claudio De Vincenti, in vista dell’incontro al ministero con i vertici dimissionari della societa’. A questo proposito, ha aggiunto, ”auspichiamo un ripensamento”.

De Vincenti ha poi assicurato che “il governo non lascerà soli i lavoratori dell’Ilva” aggiungendo che “é interesse nazionale garantire la continuità produttiva” degli stabilimenti.

E al termine della riunione al ministero dello Sviluppo fra rappresentanti del governo, delle istituzioni locali e dell’azienda, e’ stato ribadito l’impegno dell’Esecutivo, della regione Puglia e del Comune di Taranto alla difesa della salute e dell’ambiente.

“Prima di tutto – ha specificato – dobbiamo chiedere all’azienda il massimo impegno per realizzare gli investimenti che consentano di applicare l’Aia. Puntiamo a fare in modo che lo stabilimento di Taranto e anche gli altri continuino nell’attività produttiva e continuino gli investimenti. Valuteremo tutte le prospettive che si aprono in questo momento. Tutte le istituzioni devono assumere una forte responsabilita’ nei confronti dell’interesse generale del paese che e’ quello di avere una siderurgia forte compatibile con ambiente e salute. All’azienda chiediamo di muoversi in questa direzione”.

Nei dieci giorni fino all’assemblea del 5 giugno, ha proseguito, ”si decidera’ in modo serio qual e’ la strada migliore da seguire. Non e’ compito del governo occuparsi delle decisioni della magistratura, ma il governo deve valutare la situazione che quelle decisioni contribuiscono a determinare e assumere le misure necessarie per garantire che l’obiettivo di garantire produzione e salute possa essere conseguito”.

Riguardo alla dimissioni del Cda, De Vincenti ha precisato che il governo vuole ”capire cosa le ha determinate e qual e’ la situazione finanziaria e gestionale dell’azienda dopo il sequestro deciso dalla magistratura. Alla luce di questo, potremo valutare se e’ possibile un ritorno indietro da quelle dimissioni e il mantenimento dell’attuale assetto dirigenziale dell’azienda, cosa che noi auspichiamo. Speriamo che ci siano le condizioni oggettive per un ripensamento. Vorrei che fosse chiaro ai lavoratori e ai cittadini di Taranto che il governo non li lascera’ soli. E’ interesse nazionale garantire futuro agli stabilimenti Ilva nel rispetto della salute e dell’ambiente. Il governo non lascera’ soli i lavoratori dell’Ilva”.

Fonti Varie, Ansa, Reuters

FALCO BRIANZOLO